24 agosto 2009

Il sesso è una poesia recitata sottovoce.

Dio.. si...

Delle volte bastano piccoli gesti, altre qualcosa di più esplicito, a rendere un momento eccitante.
Sono quegli istanti in cui la tua testa sta ancora ragionando, eppure il resto del tuo corpo comincia a ricordare, i peli si rizzano appena, la pelle rabbrividisce o forse diventa solo più calda, e dove già lo era, ora è bollente. Il viso annuisce e sorride, ma vorrebbe solo aprire le labbra in un urlo di piacere, in un ansimare incontrollato e privo di ordine, mentre qualcosa di animalesco eppure di completamente lecito si impadronisce delle tue ginocchia. Allora vorresti aprire le gambe e cedere mollemente alla debolezza delle tue articolazioni, scivolare a terra, sostenuta da lei, poggiare le spalle sudate dal caldo su di un cuscino e lasciar sporgere il mento, verso l'altro, per rendere le labbra più invitanti, per fargli provare il brivido dell'umidità di un'altra bocca. E ansimare ancora, senza pensare al respiro, che da solo potrebbe trascinarti dove è troppo presto per cadere, complice un'attesa sempre più dolce, sempre più ricca di
tensione.
Lentamente entrambi i corpi si muovono, sono movimenti tutt'altro che aggraziati, movimenti lenti, o veloci, grezzi, all'inizio, e quindi più armoniosi quando le membra cominciano a muoversi insieme, su e giù, cercando qualcosa che nessuno dei due può dare all'altro.
E' nel momento in cui l'attesa diventa insopportabile, in cui quella danza tanto decantata dai poeti vogliosi diventa una tortura, per la mancanza di qualcosa che la porti a definitivo compimento, che le mani si fanno spazio sui seni. Prima accarezzano le spalle, ormai intrise dell'odore di quell'amore fisico senza il minimo di morale, e le dita suonano un pianoforte di lente vocali. Le vocali che scivolano dalle labbra per un attimo distratte, e che terminano con un sospiro di piacere. Poi piano scendono, le mani, a toccare le curve coperte, che presto non celano più la nudità, e si lasciano premere, afferrare, graffiare, anche e soprattutto dove la sensibilità riesce ad aumentare, ancora e ancora.
Allora non ce la fa più.
Anche la bocca deve partecipare a quell'amplesso di umida sensibilità, e passa la lingua lasciando il segno d'un morso dove ci si aspetta di trovarlo. Il collo, il petto, il seno, e più in basso, preceduta dalle mani che svelte, quasi di fretta, goffamente allontanano i pantaloni. Giocano a lungo, quasi come uno scherzo, per convincere del tessuto complice di un pudore ormai inesistente e bigotto, a lasciare spazio a quell'animalità che ansima più forte.
Quindi il corpo scende ancora, e il viso si ferma a pochi centimetri dalla lieve peluria indecisa, imbarazzata. Non importa più la vergogna, ormai, ma gli occhi, unici complici dell'anima e del cuore, corrono verso gli altri, ad accertarsi che la chiave sia concessa.
Non c'era dubbio, ormai, il respiro non è l'unico a volere la sua parte, ed aumenta sempre più forte, mentre le mani dell'altra coprono gli occhi già chiusi e stretti, in un vago e debole tentativo di resistere ad una tentazione troppo forte.
Ancora. Ancora. E l'altra bocca è impegnata a tacere, sebbene i suoi movimenti sembrino esser vicini al pronunciare una poesia. Una lunga ed eccitante poesia, accompagnata da gesti veloci e precisi delle dita, e che termina con un accento non suo, in quanto il suo è smorzato dal sudore e dal respiro comunque accelerato.
L'accento è di lei, che fino a quel momento ha provato quel crescendo d'emozione ormai ben conosciuto, ed ora grida il termine di quella poesia con tutte le sue forze, tentando invano di soffocarne la commozione.

Solo allora le labbra si allontanano ed abbandonano quei luoghi nascosti, sorridendo lievemente, per poi baciare solo una gota, e non più labbra più grandi e desiderose di quel sentimento fisico e materiale.

Vince il sonno, alla fine di quella partita dell'arte.
Un erotismo la cui superficie va' ben oltre l'espressione, si sottomette al sonno, che lo culla in sogni umidi e dotati di un lieve tepore.


Sylya.